#StopBombingGaza

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  1. sigfried
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    Pochi minuti fa, mentre mangiavo, ho sentito un rombo nel cielo. Come un bambino sono uscito sul balcone e ho seguito l'aereo con gli occhi. Era due aerei militare, di quelli che da bambino mi piaceva un sacco guardare. Volavano bassi, tanto bassi che si vedevano i missili sotto le ali. Certo, potrei sbagliarmi, forse non erano missili. A pochi chilometri da casa c'è Gioia del Colle, base NATO. Era da lì che partivano i caccia per la guerra nel Golfo, la prima, quella del '90-'91. Molti di voi non erano neanche nati. Io avevo dieci anni e ricordo che fu una delle ultime volte che pregai Dio. Non credevo a Dio già da un po', per ragioni mie, ma quella volta volli pregare. Perché avevo paura che la Guerra arrivasse fin da noi, che morissero le persone a cui volevo bene, gli amici, i parenti, il fratellino e la sorellina. Non pensavo neanche che da altre parti potessero morire delle persone.
    No, mi spiego: sapevo benissimo che in Iraq sarebbero morte persone, soldati e innocenti, anche bambini come lo ero allora, ma non riuscivo a provare un dolore e una paura emotiva. Al pensiero provavo orrore, ma era un orrore ragionato non emotivo.
    Non so se il concetto sia chiaro.
    All'epoca non era chiaro neanche a me. Provavo un certo disgusto nei miei confronti perché quasi piangevo all'idea che una bomba immaginaria potesse cadere sul mio paese e ammazzare alcuni amici miei (l'idea che potessi morire io non mi sfiorava neanche), mentre la certezze che a Bagdad mentre io mangiavo tranquillo morissero bambini anche più piccoli di me, non mi procurava nessun dolore. Orrore sì, ma non dolore.
    E tutto ciò mi faceva schifo.
    Volevo parlane con qualcuno, ma temevo che non mi capissero, o che mi giudicassero, e tenevo tutto per me, e mi veniva rabbia, e odio, nei miei confronti e nei confronti di tutti.
    Poi sono cresciusto, e crescendo ho capito che non ero strano, né una persona schifosa. Era il mondo a fare schifo, e la mia era autodifesa. Perché se si provasse dolore per tutti gli orrori del mondo, si impazzirebbe. Allora il nostro cervello fa delle censure, ci chiude in compatimenti stagni. Da una parte il nostro mondo: la nostra famiglia, gli amici con cui usciamo, la gente che frequentiamo, il nostro animale domestico, anche i nostri idoli televisivi fanno parte del nostro mondo. E dall'altra parte tutto il resto. Il vecchio sotto casa che non ci saluta mai, che un giorno muore, e si pensa, "beh, è morto" e subito dopo ce ne siamo già dimenticati. Un barcone di profughi che affonda trascinando con sé 400 persone. Tante piccole guerre in Africa che durano da 200 anni, con soldati bambino di 13 anni con fucili più grandi di loro. La Cambogia, dove un intero popolo è sotto un esercito militare ed è costretto a vivere coltivando oppio e morire drogato. Ed anche Gaza.
    E la prova che il mio ragionamento è reale, l'abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Se ci muore il nostro cagnolino, ci si nasconde in un angolo per non farsi trovare a piangere. Se si vedeno le foto di guerra con bambini dilianiati, si scrive un commento con gli occhi lucidi del tipo "provo un dolore infinito". Ma come detto, gli occhi sono lucidi. Certo, razionalmente nessuno può dire che la vita di un cane vale quella di un bambino. Ma quel bambino è lontano, non fa parte del nostro mondo, abbiamo già accettato, prima ancora di ricereve l'infornazione, che si muore, che un bambino X in questo preciso momenti sta morendo, di fame, si sete, di mallatia, sotto una bomba, sbranato da un animale, ucciso da una mamma o un papà. Il nostro cane no, se muore non l'accettiamo.
    Questa è la realtà. E per non impazzire abbiamo solo questa difesa: l'esclusione.
    Però...

    In questi giorni girano un sacco di foto. Bambini con il cranio divelto, o con arti amputati, genitori che si trascinano il corpo di neonati privi di vita come pazzi con una bambola.
    E queste foto portano due tipologie di didascalia.
    La tipologia uno: se non condividi, sei un pezzo di merda. E che non merita neanche di essere presa in considerazione, tanto è palese che chi ha scritto una cosa del genere vuol solo far sapere agli altri di essere una bella persona, ma non gliene frega nulla di esserlo né, sono pronto a scommettere, lo è.
    La seconda tipologia è meno decifrabile. Il messaggio è più o meno quello di questo topic: il voler informare, far prendere cosicenza di una realtà non tanto lontana. Ma le motivazioni che spingono a una tale scelta, non sono cristalline. Anche qui il veicolatore di tale messaggio può essere solo uno stronzo egocentrico che vuol dare un'idea pura di sé, ma che di base se ne sbatte il cazzo di chi muore. O può esserci gente che davvero crede che un simile messaggio possa cambiare qualcosa. Quello che so, è che non si può fare di tutt'erba un fascio, ma che se alle foto/messaggio in questione, segue la chiosa, "andate a seguire i mondiali e chiudete gli occhi" mi viene voglia di prendere il soggetto e picchiarlo finché non ho più forze. Perché la retorica è la cosa peggiore che esiste. Specie quella retorica che cerca di dividere in buoni e cattivi, dove i buoni, sono buoni solo a parlare.
    Non è il caso di questo topic, ché se l'avessi pensato, non avrei scritto 'sto messaggio. Faccio un ragionamento più ampio.
    Questo topic, per conto suo, dice chiaramente di non credere che un hasthag, un topic, un post possa cambiare le cose. Crede che l'informazione ci riesca.
    A ma piacerebbe crederlo, e vorrei sbagliarmi, ma il mondo che conosco, quello che vedo e vivo, mi fa pensare che è solo una perdita di tempo. Perché chi comanda se ne stra-stra-batte il cazzo. L'economia del mondo si mantiene sulle armi, il petrolio, la medicina, e la tecnologia. Tutto ciò porta a conseguenze come la guerra. Non solo, ma la guerra è la conseguenza più visibile e più oscena.
    Noi come popolo siamo impotenti, incapaci di poter cambiare le cose, e ignoranti anche a riguardo degli effetti di un cambiamento, dei privilegi che perderemmo.
    Saremmo capaci di accettare di perdere gran parte della tencologia, dei beni, del cibo, per una pace globale?
    No, non ci credo. Anzi, sono sicuro che non accetteremo mai di barattare la nostra vita agiata con una pace globale.

    Anni fa, per scherzo, scrissi una lettera inviata a me stesso. Fingevo che a scrivermela fosse un cinico conoscitore del mondo, che con un linguaggio aulico desse lezioni di vita agli altri. Era una parodia, una presa in giro a tutti quelli con la verità in tasca, ma oggi sono andato a rileggerlo e un po' mi vengono i brividi. Perché non avrei mai pensato di prenderci così su un aspetto di questa ficenda, che finora ho tralasciato.
    Sul piacere del sangue.
    La metterei sotto spoiler, ma non so come si fa, per cui la lascio qui, e se non volete leggerla, vi capisco. In pratica verte sul paradosso di vedere la Commedia come un crimine, perché spaccia una falsa dottrina, e attraverso alcuni esempi storici, sostiene la tesi che l'uomo non è cambiato dall'età della pietra ad oggi, che sia attraverso i campi di concentramento tedeschi o russi, o in tempi moderni con bombardamenti aerei, l'uomo ha bisogno di sangue, non solo attivamente, commettendo il crimine, ma anche solo "leccandolo dai giornali" o, come in questo caso, "leccandolo da una foto". La lettera chiude con il monito: attento a noi. Noi intesi come uomini.

    Ciao



    l’ultima volta che ti scrissi, ti lasciai con la promessa di narrarti la caccia organizzata dal mio amico il Duca Bianco. Cacciammo il cinghiale. Una bella, gigantesca fiera; quasi due quintali di furia selvaggia e indemoniata; tre dei segugi migliori vennero dilaniati dalle sue zanne bianche di giglio. Fu il Duca ad abbatterlo, con un sublime colpo di carabina, diritto al cuore. La meravigliosa bestia morì con un singulto d’orgoglio, caricandoci e franando maestosamente ai nostri piedi; dalla bocca colava un rivolo di sangue rosso e candida spuma; ruggiva e teneva i suoi occhi aperti e neri fissi nei nostri, legati in un incantamento crudele, grottesco e macabro.

    Ci sentimmo tutti più piccoli, di fronte alla grandezza del mostro. Alla spettacolarità estetica della sua morte. Mentre il cinghiale ci caricò, uno dei servi, imbracciato il fucile per la paura, fu pronto a far fuoco; ma il Duca glielo strappò di mano con rabbia: non avrebbe permesso a nessuno di sporcare quella bellissima fine elegante. E più tardi, tra nettare, miele, ambrosia e venere, mentre la musica ci stordiva e ci ammaliava, il Duca si alzò in piedi e prese il calice, indi abbassò la testa e indicò, con la mano che reggeva il frutto di Dionisio, la testa del cinghiale appesa sulla porta, proprio di fronte a noi.

    Perdonaci Amico, ha detto, noi non ti meritiamo. Con la voce vibrante di dolore. E si è ritirato nelle sue stanze con due donne di notevole bellezza. Lasciandomi a riflettere.



    Amico mio qual è la prima definizione di commedia?

    Una rappresentazione a lieto fine, mi insegni. L’eroe vince. Sposa la fanciulla dei suoi sogni. C’è il trionfo della virtù. Il pubblico ha la sensazione che il mondo sia migliore.

    Ah ah ah

    In una società veramente morale, dove la diffusione delle verità sia un obbligo, la commedia sarebbe bandita dalle scene. E gli autori accusati di diffondere false dottrine, imprigionati o decapitati, a secondo del grado di entusiasmo con il quale la società cerca di mantenersi pura.

    La commedia si basa sull’assunto che gli uomini (almeno una parte di essi) siano fondamentalmente buoni, e che possono progredire dalla filosofia della vittima e dell’oppressore, filosofia tipica delle società tribali, a qualcosa di più civile.

    Ma mio caro e unico amico, guardati attorno. Le tue capacità di osservazioni non sono seconde a nessuno, per cui, in tutta onestà, ti senti di dire che siamo progrediti, che so, dall’epoca dei romani?

    Credi davvero che succhiare avidamente il sangue da una pagina di giornale, sia più evoluto che assistere agli spettacoli del Colosseo? O ancora, che differenza c’è tra pagare le tasse che finanziano mille aerei mandati a lanciar bombe su una zona imprecisata del globo, di cui si ha una vaga conoscenza geografica e nessuna dei costumi, con i vichinghi, che discendevano i fiumi e sterminavano un villaggio con le proprie mani e leccavano il sangue dalle asce? Ti sentiresti di dire che i tedeschi e i russi, con i loro campi di concentramento, siano migliori dei mercanti di schiavi di Costantinopoli che fornivano eunuchi di undici anni?

    Potrei andare avanti con molti esempi, che troveresti ridondanti. Allora ti chiedo: la gente fondamentalmente buona, dove vive? In che continente agisce? Qual è la sua simmetria? O forse in tutti questi atti di malvagità, ci vedi una qualche intenzione recondita di fare del bene? Ci vedi più civiltà?

    Forse la bontà è una virtù che esiste di per sé, senza avere il bisogno di riflettersi nell’azione?

    No, mio caro amico. Siamo diventati solo più vigliacchi, e ci vergogniamo di noi stessi. Non offriamo più sacrifici propiziatori a un Dio in pietra, ma allo stato, o a uno Status. Non ascoltiamo più le urla dell’uomo a cui abbiamo strappato il cuore, ma ascoltiamo con morboso interesse il telegiornale. Siamo vendicativi, astuti e violenti, vogliamo il sangue, ne abbiamo bisogno, ma abbiamo paura che si sappia, e ci consideriamo più civili solo perché facciamo tutto questo a distanza.



    Ma mio caro amico, so bene che questa mia lettera non ha nulla di originale per un uomo dotato di un minimo di cervello. Tuttavia, se ti ho scritto, oltre a perché non ho un cazzo da fare, è per porgerti un caro saluto: ti scriverò ancora. Una promessa che leggerai come una minaccia. Perché ho mille e mille altre storie e cose da dirti.



    Ti lascio, per ora, con un monito: “attento a noi”






    Penso di aver scritto anche troppo.
    Non rileggo, perché sennò cancello. Forse il mio è uno sfogo, perché nonostante tutto il cinismo e il disincanto e il razionalismo che ho espresso, probabilmente sono rimasto sensibilmente toccato da tutto questo orrore.
     
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181 replies since 13/7/2014, 23:37   1435 views
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